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Come è stato applicato dai giudici l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario?

La vaccinazione contro il Covid 19 è diventata obbligatoria per il personale medico. Siamo andati a vedere come questa disposizione è stata interpretata finora nelle aule e quali criteri sono stati applicati.

 
Il RIFERIMENTO NORMATIVO è l’art. 4 del D.L. 44/2021 convertito dalla legge 76/2021.
 
CHI RIGUARDA. Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, para farmacie e negli studi professionali hanno l’obbligo di vaccinarsi.

 

COSA DICE L’ART.4?
La norma ha disegnato un attento iter per individuare correttamente coloro che non siano vaccinati.
In questi casi si procede con l’invito ad eseguire la vaccinazione e, qualora persista inadempimento, si arriva all’adozione di un provvedimento di sospensione dalla prestazione lavorativa.
 
COSA È AVVENUTO?  I giudici hanno dovuto giudicare la legittimità dei provvedimenti di sospensione dall’attività lavorativa adottati da alcuni datori di lavoro, gestori di RSA o strutture analoghe, PRIMA dell’emissione dell’art. 4 o prima della definizione del procedimento disciplinato da questa norma.
Tutte le Ordinanze emesse sino ad oggi dai Tribunali hanno dichiarato legittimi i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione del lavoratore che decide di non vaccinarsi contro il Covid-19.
 
I CASI
Tribunale di Roma 28.07.2021
Tribunale di Modena 23.07.2021
Tribunale di Bergamo 16.07.2021
Tribunale di Verona 24.05.2021 e 16.06.2021
 
I PRINCIPI ESPRESSI NELLE ORDINANZE
Nella comparazione delle tutele, l’interesse prevalente è quello della salute collettiva e dei pazienti.
Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa.
È un dovere del datore di lavoro/gestore delle strutture sanitarie adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei dipendenti (art. 2087 c.c.) e la salute dei pazienti.
 

 I datori di lavoro devono agire sempre con estrema cautela e prudenza. 

Tutela dei diritti alla riservatezza dei lavoratori.

Rispetto dei principi dettati dalla normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro con il coinvolgimento del medico competente.

 

 

Rette di degenza per malati di Alzheimer: una narrazione che richiede chiarezza

È sempre d’attualità il tema della natura delle prestazioni erogate dalle RSA ai malati di Alzheimer e della conseguente individuazione del soggetto tenuto al pagamento delle rette di degenza.

 

 

Le pagine web sono ricche di articoli che, rifacendosi ad alcune sentenze, inducono i parenti di persone affette da morbo di Alzheimer a contestare alle RSA il pagamento delle rette e, in alcuni casi, ad interrompere i pagamenti

 

 

Dietro titoli quali “Le famiglie dei malati di Alzheimer non devono pagare le rette” o ancora “La retta dei malati di Alzheimer va pagata dal SSN” si celano in realtà problematiche giuridiche articolate (che qui non potranno che essere semplificate) e un contrasto giurisprudenziale che vede frequentemente le RSA vittoriose nelle aule di tribunale.

 

A chi spetta provvedere agli oneri di degenza: quando l’obbligato era il SSN

 

Per meglio comprendere il cuore dell’argomento occorre considerare che nel nostro sistema giuridico alcune norme assegnavano al fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali.

 

In linea con queste previsioni, la giurisprudenza della Suprema Corte – Cassazione Civile 4558/2012 e Cassazione 22776/2016 per chi volesse vedere in dettaglio – aveva affermato che

 

 

in caso di inscindibilità fra carattere sanitario e socio-assistenziale delle prestazioni, l’attività erogata dalle strutture avrebbe dovuto essere qualificata di rilievo sanitario, con gli oneri di degenza a carico esclusivo del Servizio Sanitario Nazionale

 

 

Il contesto normativo è però mutato negli anni e le attuali norme di riferimento (DPCM 14.02.2001, DPCM 29.11.2001, DPCM 12.01.2017) hanno dato origine ad un diverso orientamento giurisprudenziale, sebbene non univoco ma comunque prevalente, stavolta favorevole alle RSA.

 

 

Il mutamento normativo e nella giurisprudenza legittima la richiesta di pagamento delle rette

Cosa è avvenuto? Molti tribunali hanno riqualificato come trattamenti di lunga-assistenza residenziale e semiresidenziale (per le quali è prevista la partecipazione a carico dell’assistito nella misura del 50%) le prestazioni erogate dalle RSA nei confronti di ospiti affetti da Alzheimer, ritenendo così legittima – da parte delle strutture – la richiesta di pagamento delle rette.

Ad analoga conclusione, seppure per altra via, giungono altresì quelle sentenze che

 

 

pongono l’accento sul contratto dal quale origina il ricovero in RSA, soffermandosi in modo particolare sull’assenza nel nostro ordinamento giuridico di una norma che vieti ai soggetti privati la conclusione di un negozio avente per oggetto l’erogazione di prestazioni sanitarie a fronte di un corrispettivo in denaro

 

 

Anche secondo questa interessante lettura del contesto normativo di riferimento, l’assunzione dell’obbligo di pagamento di prestazioni sanitarie è lecita e il contratto valido con ogni conseguente effetto.

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