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L’infortunio sul lavoro e la formazione del lavoratore in materia di sicurezza. Quale nesso?

Nel nostro ultimo articolo siamo tornati sul decreto legislativo 231/ 2001 per la centralità che continua a rivestire per la vita delle imprese. Qui – in tema di sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore di lavoro – vogliamo segnalare due recenti sentenze della Cassazione Penale con un denominatore comune: la formazione del lavoratore come elemento imprescindibile in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. 

 

La responsabilità civile e penale del datore di lavoro e l’incorruttibilità del nesso di causalità
La prima sentenza è la n.34936 del 21 settembre 2022 in cui la Corte si è pronunciata sulla responsabilità penale dell’impresa in caso di lesioni colpose del lavoratore imputabili alla mancata formazione. I punti da sottolineare e che ribadiscono la linea tenuta dalla Corte in materia sono: 

 

  • La responsabilità penale e civile del datore di lavoro derivante dalla violazione dall’obbligo di salute e sicurezza disciplinato dal D.Lgs. 81/2008 oltre che dall’art. 2087 del codice civile (obbligo di sicurezza in capo all’imprenditore) per cui devono essere predisposte tutte le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e morale del lavoratore. Misure da pensare secondo il criterio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile.
  • Il fatto che la valutazione dei rischi debba concretizzarsi nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) con la menzione specifica di tutti i fattori di rischio e pericolo che siano concretamente presenti nel luogo di lavoro essendo totalmente inidoneo un DVR “meramente compilativo e cartolare delle procedure segnalate nel documento, prive di qualsiasi specifica indicazione operativa”.
  • La responsabilità amministrativa del datore di lavoro ex decreto legislativo 231/2001 per cui l’ente è responsabile dei reati commessi da parte di soggetti che abbiano posizioni di direzione-amministrazione – rappresentanza a meno che non venga dimostrato di aver messo in atto, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione finalizzati alla prevenzione dei reati.
  • La relazione tra DVR non adeguato, mancata formazione del personale in materia di sicurezza e imprudenza del singolo lavoratore nella condotta tenuta. Viene dunque ribadito dalla massima Corte il principio secondo cui la condotta imprudente del lavoratore non interrompe il nesso causale tra evento e sistema di sicurezza inadeguato; sistema di sicurezza – costituito da periodiche revisioni del DVR e adozione di tutte le misure idonee (costituzione di staff medico e tecnico ad esempio) a proteggere i lavoratori da eventi dannosi causati anche dalla loro colpa.
 
Quando l’infortunio riguarda il lavoratore di lunga esperienza

 

L’altra sentenza sulla quale vorremmo soffermarci è la 39489/2022 del 19 ottobre. In questo caso l’infortunio riguardava un caposquadra, rientrante tra le figure dei preposti ovvero quei soggetti che sul luogo di lavoro svolgono funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte. 
Anche qui la Cassazione si è pronunciata secondo i propri consolidati principi sottolineando come l’esperienza personale del lavoratore non possa superare o attenuare in alcun modo l’attività di formazione a cui è tenuto il datore di lavoro circa la tutela della salute e sicurezza dei propri lavoratori. Questo anche qualora si tratti di un lavoratore:

 

formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro”

 

In sintesi e per quel che ci riguarda in qualità di consulenti legali di molte imprese, in caso di infortunio, la condotta irresponsabile del singolo lavoratore o l’agire sulla base della propria lunga esperienza operativa non assumono secondo la Corte una rilevanza tale da legittimare la mancata attuazione degli obblighi in capo al datore di lavoro circa la formazione in materia di sicurezza. 
 

Dubbi o necessità di chiederci consigli su un’ esperienza simile? Parliamone

Cosa vorremmo dire alle imprese in materia di 231

Il decreto legislativo 231 del 2001 – sulla responsabilità degli enti in caso di commissione di alcuni reati da parte di soggetti che ricoprono posizioni rilevanti al loro interno – riveste ancora una posizione centrale per la vita delle imprese. Qui sottolineiamo due aspetti che ci sembrano importanti per tracciare un bilancio di questa normativa:

 

  • la natura della responsabilità tuttora controversa
  • l’importanza di dotarsi di un Modello organizzativo e di un Organismo di Vigilanza

 

Ricordiamo cosa prevede il decreto

 

Chi assiste legalmente società ed enti si trova molto spesso ad incrociare questo decreto di cui ricordiamo brevemente verso chi è indirizzato e cosa disciplina.

 

I soggetti destinatari del decreto

sono chiaramente individuati all’art. 1, comma 2 che include nell’ambito di applicazione gli enti forniti di personalità giuridica e le società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Questo vuol dire che la disciplina relativa alla responsabilità amministrativa da reato si applica a società di persone e di capitali, società unipersonali e S.r.l. a socio unico (secondo la giurisprudenza più recente), società tra professionisti, associazioni riconosciute e non riconosciute, fondazioni – anche Onlus – enti pubblici economici.

 

“La responsabilità prevista nei confronti di questi soggetti è autonoma e diretta e si concretizza in caso di commissione di alcuni reati – i cosiddetti reati presupposto – da parte di soggetti che ricoprano ruoli apicali all’interno della struttura organizzativa, nell’interesse e a vantaggio dell’ente. L’ente non è pertanto responsabile quando l’autore del reato abbia agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi”

 

I “reati presupposto

sono  tassativamente enumerati negli articoli dal 24 fino al 26. Negli anni il catalogo che li prevede ha subito un costante incremento assumendo una fisionomia complessa che spazia – ricordandone solo alcuni – dai delitti contro la pubblica amministrazione o di criminalità organizzata, ai reati ambientali e tributari fino ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi per violazione delle norme antinfortunistiche, a tutela dell’igiene e della salute sul lavoro.

 

Responsabilità: ma di che tipo?

 

Il procedimento di accertamento della responsabilità dell’ente e quello del fatto reato sono assegnati alla cognizione del medesimo giudice e vengono trattati unitariamente nell’ambito del processo penale. La previsione di una responsabilità da reato in capo agli enti ha fatto inevitabilmente sorgere negli anni un dibattito sulla sua natura giuridica nel quale emergono sostanzialmente tre posizioni:

 

  1. la prima, secondo la quale si tratterebbe di una responsabilità autenticamente amministrativa
  2. la seconda che ritiene si tratti – nonostante la definizione giuridica – di una responsabilità penale
  3. la terza, desunta dalla Relazione Ministeriale al decreto e sviluppata anche dalla giurisprudenza, che individua nella responsabilità degli enti un sottosistema punitivo autonomo in grado di coniugare “i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficienza preventiva con quelle, ancor più ineludibili della massima garanzia” (Cassazione penale, Sez. Unite, 24.04.2014 n. 38343 ThyssenKrupp).

 

Perché le imprese dovrebbero dotarsi di un Modello Organizzativo e nominare l’Organismo di Vigilanza

 

In questo quadro, tracciato in estrema sintesi e nei tratti essenziali, si inserisce la figura dell’Organismo di Vigilanza con un ruolo fondamentale. Perché? Gli articoli 6 e 7 del decreto prevedono infatti come cause esimenti che l’ente abbia adottato ed attuato in modo efficace prima della commissione del reato da parte dei suoi esponenti, “modelli di organizzazione e di gestione” che risultino idonei a prevenire reati della specie di quello che si è verificato e che abbia affidato a un distinto organismo con poteri autonomi di iniziativa e controllo “il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento”.

 

Nel sistema delineato è quindi conferito all’Organismo di Vigilanza il compito di valutare l’adeguatezza del Modello Organizzativo dell’impresa, vigilare sulla sua corretta ed effettiva implementazione e suggerirne eventuali aggiornamenti al mutare di determinate circostanze.

 

Ma vale per tutti?

 

Occorre sottolineare che fatta eccezione per alcune disposizioni di settore (da evidenziare l’obbligo sussistente per le realtà che intendono ottenere l’accreditamento e la contrattualizzazione con il Sistema Sanitario Nazionale e Regionale) gli enti non sono obbligati ad adottare e attuare un idoneo Modello Organizzativo né a dotarsi di un Organismo di Vigilanza.

 

La presenza di questi due elementi integra però una condizione per beneficiare di un possibile esonero di responsabilità a fronte del compimento di un reato presupposto.

 

L’importanza dell’esonero di responsabilità si comprende ancor più se si considera che, in caso di accertata responsabilità, il sistema sanzionatorio previsto è articolato e rigoroso. Lo disciplina la Sezione II al cui interno le sanzioni finanziariequelle pecuniarie e di confisca – coesistono sia con la pubblicazione della sentenza – con funzione stigmatizzante – che con le sanzioni interdittive  che riguardano l’attività dell’ente, con effetti che potrebbero incidere sulla continuità dell’attività ovvero:

 

  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività
  • la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito
  • il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione
  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi
  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi

 

Come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia, gli amministratori che non adottino un modello organizzativo possono essere oggetto di azione di responsabilità ex art. 2393 cod.civ. e di richiesta di risarcimento dei danni da parte dei soci nel caso di condanna della società per responsabilità amministrativa.

 

Questo perché nell’ambito del loro operato avrebbero dovuto tener conto della normativa, dotando l’organizzazione di un Modello Organizzativo e nominando un Organismo di Vigilanza.

Cosa fare quando un dipendente contrae il Covid?

Per molte aziende e imprenditori questo è un argomento estremamente attuale e delicato.

 

Cerchiamo dunque di fare chiarezza sul tema del ruolo del datore di lavoro quando un proprio dipendente contrae il virus in occasione di lavoro, riepilogando la procedura prevista anche dal lato dell’azienda.

 

Il coronavirus è un infortunio

Il riferimento normativo che ci interessa è l’articolo 42, comma 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, (c.d. “Cura Italia”), convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, secondo il quale questo caso rientra tra quelli tutelati dall’Inail quale infortunio sul lavoro.

 

Conseguenza della qualificazione dell’infezione da Coronavirus come infortunio è l’attivazione della procedura disciplinata dal testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (D.P.R. 1124/1965).

 

 

“nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da Coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro”

 

 

L’obbligo di comunicazione

 

  • Il lavoratore che ha contratto il virus è obbligato a darne immediata notizia al proprio datore di lavoro.
  • Il datore di lavoro è obbligato a denunciare l’infortunio del proprio dipendente all’istituto assicuratore (come per tutti i casi di infortuni pronosticati non guaribili entro tre giorni).
  • La denuncia da parte del datore di lavoro deve essere fatta in via telematica entro 2 giorni dal ricevimento del certificato medico che attesta la positività e il collegamento dell’evento Covid all’attività lavorativa. Da notare che il sabato non è considerato giorno festivo e che la scadenza di sabato non si sposta dunque al lunedì successivo. Alla denuncia deve essere allegato il certificato medico prodotto dal lavoratore.

 

Il ruolo centrale della certificazione medica

Come per tutti i casi di infortunio per i quali la guarigione è pronosticata oltre i tre giorni, si presenta dunque l’obbligo di denuncia alla quale va allegata la certificazione medica.

 

Nel caso dell’infezione da Covid è noto che la presenza della patologia si esteriorizza con la manifestazione dei sintomi e solo successivamente si ha la prova diagnostica.

 

Questo punto resta tuttavia centrale per la possibile applicazione della tutela Inail che – nella Circolare n. 22 del 2 aprile 1998 alla voce “Termini per la presentazione delle denunce e dei certificati medici” – prevede infatti che la denuncia di infortunio da parte del datore di lavoro non possa essere correttamente effettuata prima dell’acquisizione del certificato medico ponendo questo documento come momento determinante agli effetti della notizia dell’evento lesivo.

 

 

Nella Circolare 13 del 2020 l’Inail ha ribadito come l’obbligo dell’invio e la conseguente acquisizione del certificato di infortunio, assieme al requisito dell’occasione di lavoro, siano essenziali ai fini del perfezionamento della fattispecie della malattia – infortunio.

 

 

Il datore di lavoro e la compilazione della denuncia

Nella stessa Circolare l’Inail sottolinea come il datore di lavoro al momento della compilazione della denuncia debba prestare particolare attenzione ai campi attinenti le date relative:

 

  • all’evento
  • all’abbandono del lavoro
  • alla conoscenza dei riferimenti della certificazione medica che attesta l’avvenuto contagio

 

Il datore di lavoro è autorizzato a fare dichiarazioni circa la riconducibilità della contrazione del virus sul posto di lavoro? Questo non è possibile ma, in considerazione della presunzione di contagio in ambito lavorativo che opera per gli operatori sanitari (anche di coloro che operano ad esempio nelle RSA), deve ritenersi però ammessa:

 

  • la possibilità di indicare nella denuncia elementi utili ad escludere l’ambiente lavorativo quale luogo del contagio (a titolo esemplificativo: il fatto che nella struttura o nel reparto non vi siano casi di contagio fra ospiti ed operatori)
  • la possibilità di allegare documenti che si ritiene possano essere utili per valutare la non riconducibilità del caso al contesto lavorativo.

 

 

La denuncia deve comunque essere trasmessa; ciò indipendentemente da ogni valutazione da parte del datore di lavoro sulla riconducibilità della contrazione del virus sul posto di lavoro.

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